STARMER RICONOSCERÀ PALESTINA. TRA I FILE ‘TOP SECRET’ GB DEL 2004 DESECRETATI DA DOWNING STREET UNA SETTIMANA FA, UNA PROPOSTA PER PACE ISRAELO-PALESTINESE

La Regina Elisabetta II con l'allora Premier Tony Blair e consorti

Il 29 luglio il Primo ministro britannico Keir Starmer ha annunciato che il Regno Unito riconoscerà lo Stato palestinese a settembre, prima dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a meno che Israele non adotti misure sostanziali per porre fine alla ‘situazione spaventosa’ a Gaza’ e non soddisfi altre condizioni, come il cessate il fuoco.

Premier Keir Starmer

Qualche giorno fa, il 22 luglio scorso, coincidenza, proprio il governo Starmer aveva desecretato duecento file risalenti a venti anni fa circa. Tra loro compare un report proprio su come dare una risposta efficace al conflitto Israelo-Palestinese. È una relazione tecnica e dettagliata del 2004 su un piano di soluzione della questione mediorientale. con le proposte internazionali, da presentare nel 2005 ed indirizzata al Premier di allora Tony Blair. Sono passati solo venti anni, la crisi è degenerata in guerra senza fine, interessante però leggere quali soluzioni proponessero in quegli anni, specialmente perché i documenti erano redatti da diplomatici estremamente preparati del Primo ministro. Questo in particolare fu scritto da Sir Nigel Sheinwald, già ambasciatore britannico negli Stati Uniti d’America ed ex rappresentante permanente del Regno Unito presso l’Unione europea. Così scrive l’11 novembre del 2004 nell’introduzione alla parte relativa alla questione Israele-Palestina contenuta nel file:

Sir Nigel Sheinwald

Rilanciare il processo di pace in Medio Oriente: Un’iniziativa internazionale nel 2005

Introduzione: Perché lo status quo è inaccettabile

Il protrarsi dei disordini in Israele e Palestina è la principale causa di danno agli interessi degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell’Occidente in Medio Oriente. La percezione che l’Occidente stia assecondando il rallentamento del processo di pace viene utilizzata dai governi regionali come scusa per rallentare le riforme e alimenta coloro che minacciano la nostra sicurezza. Il declino economico palestinese continua. Gli sviluppi sul campo rischiano di rendere sempre meno probabile una soluzione praticabile a due Stati.

Questa spirale discendente è vista come un rifiuto della leadership americana e della volontà della comunità internazionale.

In breve, i progressi su questo tema sono essenziali per costruire il sostegno alla nostra agenda internazionale e liberare energie per le riforme in Medio Oriente. In particolare, la collaborazione sul processo di pace in Medio Oriente fornirebbe un punto focale per il rilancio delle relazioni transatlantiche dopo le divisioni causate dal conflitto in Iraq. I paesi chiave dell’UE sosterrebbero un’iniziativa guidata dagli Stati Uniti. Ciò sbloccherebbe il sostegno finanziario e pratico dell’UE, che è essenziale. Il Regno Unito mirerebbe a canalizzare questo interesse europeo in modo produttivo.

La rimozione di Arafat aumenta le possibilità di rinnovare gli sforzi. Dovremmo sfruttare le opportunità offerte da una nuova leadership palestinese, spingendola ad agire in materia di sicurezza e incoraggiando gli israeliani a trarre il massimo vantaggio dai loro nuovi interlocutori.

Sussistono diverse ragioni per cui il processo di Oslo è fallito. La responsabilità principale ricade ovviamente sugli israeliani e sui palestinesi stessi, ma la comunità internazionale non è stata in grado di esercitare una pressione efficace per diversi anni. Il tempo trascorso ha permesso ai detrattori di entrambe le parti di minarlo.

La situazione attuale è caratterizzata da un’immensa sfiducia da entrambe le parti. In queste circostanze, è difficile immaginare che le due parti procedano attraverso le numerose fasi dettagliate della roadmap, in particolare senza chiarezza sul risultato finale. Per rilanciare la roadmap, dobbiamo quindi apportare due modifiche:

  • Concentrarci sui negoziati sullo status definitivo che dovrebbero iniziare nel 2006, o prima se possibile. Ma per creare slancio e rassicurare entrambe le parti, dobbiamo iniziare a definire, nelle prime fasi del processo, alcuni parametri e principi di base condivisi dalla comunità internazionale. Ciò fornirà ai protagonisti una prospettiva a più lungo termine e la motivazione per completare la fase preparatoria;
  • Comprimere e accelerare la fase preparatoria della roadmap. Suggeriamo di ridurre la Fase I e l’inizio della Fase II ad un’unica fase preparatoria da completare nel 2005.

Tale iniziativa di pace dovrebbe procedere parallelamente al piano di disimpegno israeliano, anch’esso previsto per il 2005. Ciò susciterà serie preoccupazioni in Israele. Sarà fondamentale presentarla con cautela, sia a Sharon che all’opinione pubblica. Il contenuto di questa iniziativa si basa sul disimpegno e offre a Israele la rassicurazione tanto desiderata sulle idee relative allo status definitivo, il che aiuterà Sharon a livello interno. L’iniziativa fornirebbe un quadro politico, garantirebbe il coinvolgimento dei palestinesi e contribuirebbe ad assicurare benefici pratici a Gaza e in Cisgiordania.

Nemmeno possiamo aspettare fino al termine del disimpegno per riavviare il processo di pace, significherebbe consegnare l’iniziativa agli estremisti di entrambe le parti.

Soprattutto occorre modificare l’equilibrio di potere. Attualmente si ha l’impressione che Israele imponga le proprie condizioni agli Stati Uniti, mentre la comunità internazionale accetta passivamente lo status quo. Nel frattempo, la leadership palestinese è crollata e non è riuscita ad assumersi le proprie responsabilità in materia di disimpegno e sicurezza. L’unico modo per porre rimedio a questa situazione è riaffermare la leadership degli Stati Uniti nel MEPP, (Middle East Peace Process, n.d.a.) con il forte coinvolgimento della comunità internazionale.

File TOP SECRET aperto contenente la relazione – Foto di Nicoletta Maggi

Ciò può essere realizzato in tre modi:

I.

La nomina di una figura di spicco degli Stati Uniti come inviato del Presidente per il Medio Oriente, che guidi i negoziati con le parti e l’impegno internazionale. Ciò deve avvenire all’inizio del 2005, ad esempio nell’ambito di una dichiarazione di intenti in occasione dell’insediamento presidenziale. L’inviato dovrebbe essere impegnato in modo permanente nel MEPP.

II.

Rinvigorimento del Quartetto. Con la leadership degli Stati Uniti, ciò potrebbe fornire un sostegno autentico all’impegno guidato dagli Stati Uniti. Il Quartetto dovrebbe agire come una sorta di “gruppo di contatto”. Il Regno Unito vorrebbe che il vertice del G8 di Gleneagles promuovesse l’iniziativa, che faciliterebbe anche i progressi nel Medio Oriente allargato.

III.

Uno sforzo di monitoraggio sul campo guidato dagli Stati Uniti, che si amplierebbe con il progredire dell’iniziativa. Se fosse necessaria una missione di osservazione militare, ad esempio a seguito dei negoziati sullo status definitivo, la NATO potrebbe organizzarla.

Una struttura di questo tipo consentirebbe alla comunità internazionale di ribaltare le sorti e iniziare a dettare i termini di un accordo alle parti, anziché il contrario. Dimostrerebbe inoltre al mondo arabo che facciamo sul serio e ci consentirebbe di coinvolgere i principali partner mediorientali affinché sostengano attivamente i nostri sforzi.

Come rilanciare la Roadmap

È necessario attuare rapidamente le fasi preparatorie della roadmap. La rapidità con cui potremo procedere dipenderà dalla volontà politica che si riuscirà a generare in Israele e Palestina. Tuttavia, una valutazione realistica sarebbe quella di puntare a comprimere le fasi I e II della roadmap esistente in un’unica fase preparatoria nel 2005. Ciò potrebbe comportare i seguenti passi equilibrati ed essenziali:

Palestinesi

Ricostruire e riorientare l’apparato di sicurezza:
– azione efficace contro il terrorismo, legge e ordine
– consolidamento delle organizzazioni di sicurezza sotto una leadership efficace e sotto il controllo di un ministro dell’Interno dotato di poteri
– ripresa della cooperazione in materia di sicurezza con l’IDF (Israel Defence Forces, n.d.a.)
Riforma della governance:
– un “Gabinetto di riforma” dotato di poteri come priorità iniziale
– riforme giuridiche per facilitare la separazione dei poteri
– azione sui parametri di riferimento giudiziari, amministrativi ed economici.
Elezioni libere, aperte ed eque – municipali (entro la fine del 2005) e legislative, non
Costituzione per lo Stato palestinese.

Israele

Insediamenti: smantellare gli avamposti costruiti dal marzo 2001; congelare tutte le attività di insediamento.
Cessare le misure punitive, ad esempio gli omicidi mirati, la confisca/demolizione di case e proprietà, la distruzione delle infrastrutture palestinesi.
Libertà di movimento per i funzionari palestinesi; e per motivi umanitari, ad esempio revocare il coprifuoco, allentare le restrizioni sulle persone e sulle merci.
Riorganizzazione dell’IDF (Israel Defense Forces, n.d.a.) – ritiro progressivo dell’IDF dalle aree occupate dal settembre 2000. Riorganizzazione delle forze di sicurezza palestinesi nelle aree lasciate libere dall’IDF.
Elezioni: Israele dovrebbe facilitare la registrazione degli elettori, la circolazione dei candidati e altre forme di assistenza elettorale.

Pagina della relazione nel file – Foto di Nicoletta Maggi


Entrambi

  • Ribadire il diritto di Israele di esistere in pace e sicurezza e il rinnovato impegno di Israele a favore di una soluzione a due Stati.

Nel frattempo, la comunità internazionale si impegnerebbe attraverso:

Monitoraggio: il Quartetto, guidato dagli Stati Uniti, dovrebbe istituire meccanismi di monitoraggio concordati con le parti.
Assistenza in materia di sicurezza: l’Egitto dovrebbe lavorare sulla sicurezza di Gaza. Il ruolo del Regno Unito in materia di sicurezza a Gaza e in Cisgiordania e il ruolo dell’UE in materia di polizia sarebbero rafforzati.

Assistenza dei donatori – guidata dalla Banca mondiale e dall’AHLC. È necessario rilanciare il Fondo fiduciario della Banca mondiale. Dobbiamo incoraggiare un’importante iniziativa del settore privato, nonché il continuo sostegno dei donatori alla società civile e alle ONG.
Coinvolgere gli Stati arabi affinché appoggino la nuova visione; normalizzare le relazioni con Israele; ripristinare il sostegno al bilancio dell’Autorità palestinese; esercitare pressioni sull’Autorità palestinese; e tagliare i fondi ai gruppi che sostengono la violenza.

La relazione continua con diverse pagine con le possibili misure da adottare per risolvere la crisi. Suggerimenti sensati e giusti. Purtroppo la soluzione non è stata ancora trovata e forse non si troverà mai. Interessante però leggere quanto proponevano venti anni fa e soprattutto osservare l’impegno profuso per risolvere la problematica. Leggendo il file, parrebbe che all’epoca si pensasse davvero di risolvere ogni frizione. Purtroppo non è stato così e la crisi è precipitata in un conflitto sanguinario.

In attesa di vedere le conseguenze della decisione del Premier Starmer di proclamare a breve lo stato di Palestina. Si aggiunge ora a quella dei leader di altri stati.

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Nicoletta Maggi è interprete simultanea e giornalista. Risiede nelle Marche, ma lavora da molti anni a Roma come addetto stampa. Ha lavorato in Inghilterra e in Germania.