
‘La sua prima enciclica, un capolavoro di attento equilibrio fra Oriente e Occidente, destra e sinistra e, allo stesso tempo, teologicamente impeccabile’. ‘Figura popolare senza precedenti’. 1Non ha paura di mettere i governi comunisti pubblicamente sotto pressione’. Wojtyla a summit diplomatici: ’Siate gli architetti della pace tra le nazioni’
Un file di un centinaio di pagine è stato declassificato da Downing Street su Papa Giovanni Paolo II. Non si riferisce al suo percorso spirituale di Pastore della Chiesa. Già il titolo del fascicolo ne fa intuire il contenuto: “External Policies of Pope John Paul II”, le politiche estere di Papa Giovanni Paolo II.
Sono circa cento pagine dettagliate su impalpabile carta velina scritte a macchina, le parole sbiadite dal tempo visto che si riferisce a relazioni del 1979. Gli autori sono ambasciatori e diplomatici britannici alla Santa Sede o presso le rappresentanze consolari dei vari continenti che informano Downing Street. Nel file vengono allegati diversi articoli di giornale dell’epoca in inglese a corredo delle informazioni su un determinato discorso o conferenza.
Leggere il contenuto delle relazioni è difficile, le pagine quasi indecifrabili visto che l’inchiostro dei dispacci è schiarito, ma questo ne acuisce l’interesse. Diventa una sfida.
L’inizio del fascicolo è sulla questione Sudamericana.
Una lettera ‘Confidential’ del 1° giugno del 1979 di P G Harborne, Western European Department (Dipartimento Europa occidentale) a M J Cafferty, Esquire alla Santa Sede parla della prima enciclica Redemptor Hominis di Papa Giovanni Paolo II. Il Santo Padre la invia ‘ai venerati fratelli nell’episcopato, ai sacerdoti e alle famiglie religiose, ai figli e figlie della Chiesa e a tutti gli uomini di buona volontà’, all’inizio del suo ministero pontificale. Contiene il programma del suo pontificato. L’attenzione della diplomazia di Sua Maestà è fortemente concentrata sull’enciclica.
In una missiva della Legazione britannica alla Santa Sede del 26 aprile del 1979 viene approfondita la questione del Sud America. Si menziona la Terza Conferenza Episcopale Latino-americana a Puebla in Messico. Ogni dubbio sul successo di questo evento tanto auspicato dal Papa, viene fugato, alla fine di marzo, da una lettera del Papa stesso al Consiglio di Presidenza del CELAM, il Consiglio Episcopale Latino-Americano. Dà la sua approvazione al Documento finale della Conferenza, rassicurando i vescovi: ‘Potrete essere soddisfatti ed ottimisti dei risultati di questa Conferenza’.
I britannici allegano il Documento finale di 250 pagine tradotto nelle varie lingue. Nel dispaccio:
I vescovi che parteciparono alla Conferenza di Puebla avevano indirizzato una dichiarazione finale al popolo sudamericano condannando, oltre ai disordini morali, la violenza in tutte le sue forme, la corsa alle armi, gli sprechi e lo sfruttamento. In particolare, si evidenziava la necessità per il Sud America di allontanarsi dalla sua posizione di dipendenza economica e dallo sfruttamento da parte delle nazioni più sviluppate. Sottolinearono anche la necessità di assoggettare gli stretti interessi nazionali alla causa dell’integrazione latinoamericana e del comune interesse continentale.
Il diplomatico britannico sottolinea come sia interessante notare che, in questa loro dichiarazione, i vescovi specifichino:’ Siamo ansiosi di dichiarare che nei problemi sociali, economici e politici, non vogliamo atteggiarci da insegnanti nelle questioni, ma come interpreti del nostro popolo consapevoli delle sue aspirazioni, in particolar modo dei più umili’.
Ancora nel file:
Al suo ritorno dal Messico, il Papa ha spesso fatto riferimento, durante le assemblee generali, alle varie tematiche discusse, in particolare, alla teologia dell’evangelizzazione e della liberazione. In un’occasione ha affermato che: ‘La teologia della Liberazione è frequentemente associata – qualche volta troppo esclusivamente – all’America latina, ma ciò che è necessaria è una teologia della liberazione con applicazione universale’.
In un’altra occasione Papa Wojtyla ha spiegato che:” ‘la liberazione’ ha vari significati che dipendono dall’ambiente sociale e culturale e può significare cose diverse”. Ha continuato dicendo che ne ha uno nell’America Latina, uno in Italia, uno nell’Europa occidentale, un altro in quella orientale, in Africa e così via. Bisognava cercare quell’incarnazione della liberazione che è giusta nel particolare contesto in cui viviamo.
Il diplomatico britannico prosegue:
In queste sue dichiarazioni sulla teologia della liberazione iniziate dopo la conferenza di Puebla, il Papa ha sviluppato le critiche fatte in quell’occasione, quando ha accusato i suoi esponenti di immaginare il Regno di Dio esclusivamente in termini sociali, politici ed economici. Ha così chiarito di non essere contrario naturalmente alla liberazione dalle ingiustizie e dagli abusi in queste sfere – non con mezzi violenti – e quando parla di liberazione, la intende principalmente in senso spirituale anche se non esclusivamente. Per lui: ‘la liberazione significa la trasformazione interiore dell’uomo, che è la conseguenza della conoscenza della verità e questa trasformazione è un processo spirituale nel quale l’uomo matura’. Se un uomo consegue una tale maturità interiore non avrà paura di parlare e condannare tutte le forme di ingiustizia che ci sono nel mondo. Quindi la liberazione nella sfera sociale, ma anche in quella spirituale, ha la sua conoscenza della verità. La teologia della liberazione deve essere fedele all’intera verità dell’uomo affinché mostri chiaramente non solo in America-Latina, ma in tutti i contesti contemporanei di tutto il mondo, la natura della libertà per la quale Cristo ci ha liberati.
E in ciò risiede l’enorme abilità di Papa Giovanni Paolo II – continua il diplomatico – “ha rubato le vesti agli esponenti della teologia della liberazione, adattando come propria la parola d’ordine della ‘liberazione’, ma conferendole un’interpretazione spirituale teologicamente ortodossa ed essenziale”.
Come prova vengono allegati degli articoli di stampa in inglese come Il Fore Romano del 2 aprile del 1979 e la copia integrale del Messaggio di Puebla. Poi un articolo del The Observer del 18 marzo del 1979 dal titolo: “Il Papa prepara il corso per la rivoluzione ortodossa”.
Interessante il dispaccio ‘Confidential’ del 6 marzo del 1979 firmato da J L Bullard indirizzato a Mr. Fergusson. Si analizzano i primi quattro mesi di papato di Wojtyla. Bullard prevede che il Papa svilupperà un’influenza sulla situazione delle chiese, in special modo, naturalmente di quella Cattolica Romana nell’Europa orientale, sulle politiche dei regimi dell’Europa dell’Est e persino, in qualche misura in generale, nelle relazioni Est/Ovest.
Lo dico meno per le qualità personali del Papa, eccezionali lo sono ovviamente anche perché è polacco. La sua elezione dello scorso autunno è stata interpretata da molta gente dell’Europa centrale come supporto alle loro convinzioni che la Cristianità si sovrapporrà al Comunismo nella parte orientale del continente. Molti tedeschi hanno tratto conclusioni incoraggianti per quanto riguarda la riunificazione della loro nazione.
E inoltre:
‘Queste riflessioni e molte altre circoleranno quando il Papa andrà in Polonia, non a maggio come sperava ma in giugno. Sono nate discussioni sulla data del viaggio in Polonia in quanto le autorità polacche pensavano di avere il diritto di scegliere quale fosse il periodo accettabile o meno per loro ed il Papa che decideva che era meglio essere sicuri di venire in Polonia prima o poi, piuttosto che far valere le sue ragioni in modo particolarmente netto, come avrebbe fatto l’associazione San Stanislao’.
Bullard avverte la necessità di raccogliere delle osservazioni separate da quelle dell’impatto del Papa in America Latina.
Si passa poi a pagine e pagine di approfondimenti, dell’analisi testuale della sua prima enciclica che è quella di ‘un nuovo Papa ’. In primis, che è stata scritta da un polacco e che quindi bisognava tenere bene in mente dell’impatto mondiale che produceva.
La prima enciclica è un evento maggiore – si legge in un dispaccio del 14 maggio del 1979 – ed il suo messaggio è simile a quello diffuso nella conferenza in Sud America, CELAM II, come dice il signor Cafferty. È firmato da P G Harborne del Dipartimento dell’Europa occidentale.
Prosegue:
Le critiche del Papa al capitalismo non sono avanzate per raccomandare un sistema socio-economico alternativo: piuttosto, derivano dalla sua preoccupazione che le divisioni in ricchi e poveri all’interno e tra i singoli Paesi riflettano una preoccupazione esclusiva per il materiale a scapito dello spirituale. La morale è che i poveri possono diventare più ricchi e i ricchi più integri, come esseri umani, solo se c’è un ritorno ai valori e agli atteggiamenti cristiani tradizionali, come esemplificati nella vita e negli insegnamenti di Gesù Cristo, il Redentore.
Le posizioni del Papa sono quindi rivoluzionarie, in quanto implicano un cambiamento rivoluzionario nelle relazioni tra i Paesi industrializzati e i Paesi meno sviluppati e tra i ricchi e i poveri, ad esempio in America Latina.
Implicano anche una concentrazione su “i cuori e le menti” da parte della Chiesa cattolica, piuttosto che il sostegno a particolari filosofie politiche i cui cultori sostengono che i programmi basati su tali filosofie porterebbero al tipo di relazioni socio-economiche tra uomini e donne che il Papa approverebbe.
Quest’ultima è la cosiddetta “teologia della liberazione” che, insieme all’uso della violenza in qualsiasi circostanza, è stata inequivocabilmente respinta dal Papa al Celam II e anche successivamente.
La posizione del Papa si basa senza dubbio su tre considerazioni. In primo luogo, sono certo che egli ritenga, come questione di principio, che non spetti alla Chiesa sposare un sistema socio-economico piuttosto che un altro.
In secondo luogo, non dubito che, in base alla sua esperienza personale, non veda alcuna ragione per credere che l’introduzione di regimi socialisti nel Terzo mondo possa fare molto per modificare le differenze fondamentali tra “chi ha” e “chi non ha” o per alimentare l’impoverimento spirituale dell’uomo.
Infine, qualsiasi linea più radicale porterebbe il mondo occidentale, e in particolare gli Stati Uniti (uno dei principali Paesi cattolici), ad abbattersi sul Vaticano come una tonnellata di mattoni.
La sua condanna della situazione dei diritti umani – in particolare, implicitamente, dell’URSS e dell’Europa orientale – nasce da considerazioni analoghe: la convinzione unita ad un’accorta valutazione della realtà politica.
L’enciclica è un capolavoro di attento bilanciamento fra Oriente e Occidente, destra e sinistra ed è, allo stesso tempo, teologicamente impeccabile.
I commenti dell’ambasciatore jugoslavo (paragrafo 13 della relazione) mi sembrano esagerati e forse non sono altro che sentimenti personali. Ma sarebbe importante se tali sentimenti fossero più diffusi, per convinzione o per convenienza politica, nei circoli politici dell’URSS e dell’Europa orientale. Indicherebbero che le varie leadership comuniste sono preoccupate da ciò che il nuovo Papa ha detto sui diritti umani e potrebbero essere il precursore di una battuta d’arresto della “ostpolitik” del Vaticano.
Oppure, in questa fase, potrebbero indicare solo un segnale al Papa che il mondo ritiene che egli abbia detto abbastanza sull’argomento per il momento (ammesso che le opinioni dell’ambasciatore jugoslavo arrivino al Papa attraverso la Curia). Se lei e la EESD (si dovrebbe trattare della Eastern European Spiritual Development, n.d.a.) siete d’accordo, sarei grato a quest’ultima se chiedesse a Mosca e ad altri centri cattolici dell’Europa orientale (ad esempio Budapest) di riferire sulle reazioni che sono in grado di raccogliere sull’enciclica e, in particolare, su qualsiasi indicazione affinché le opinioni dell’ambasciatore jugoslavo siano più diffuse.
Il file prosegue con pagine e pagine di analisi dettagliate su ogni mossa, pensiero e dichiarazione del Santo Padre. Ogni suo intervento pubblico trascritto. Il livello di attenzione nei suoi confronti elevato. I commenti tutti positivi? Non proprio. In un dispaccio viene riportato che Milroy (Milroy Fernando, Ministro per gli Affari Religiosi presso la Santa Sede, n.d.a.) ne critica un comportamento in particolare.
Il diplomatico autore della missiva scrive che: tutto andava bene, tranne a Milroy, che si è fatto notare per le sue critiche.
Mi ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che il Papa, mentre si intrattiene con le masse su quisquiglie, sia completamente fuori dal contatto con le persone le cui opinioni dovrebbero essere importanti per lui e prenda decisioni da solo senza consultare le magnifiche fonti di informazione a sua disposizione. Per esempio, è stato spaventoso che il cardinale Pironio abbia saputo per la prima volta del viaggio di mediazione di Samore’ (cardinale Samorè, n.d.a.) in Sud America dalla stampa.
Non so quanto di tutto questo Milroy ne abbia parlato al Cardinale Pironio, ma in ogni caso ha affermato di avergliene spiegato il senso.
Aveva detto al Papa che era inutile che incontrasse fino a sessanta persone e che avrebbe dovuto consultare piccoli gruppi di persone.
Milroy si vedeva tra questi ultimi e, forse sono ingiusto, ma mi chiedo se non sia prevenuto nei confronti del Papa per ragioni di snobismo sociale.
In generale, Milroy pensava chiaramente che il Papa fosse una cosa negativa e temeva che prima o poi avrebbe combinato un terribile pasticcio.
Una rondine non fa la primavera e, come ho detto sopra, sarei lieto di sapere quali sono le prove dei pettegolezzi che vi sono giunte.
G A CROSSlEY
L’unica critica mossa nei confronti di Papa Giovanni Paolo II – tra l’altro derubricata dalla diplomazia britannica a semplice pettegolezzo – è stata quella di un esponente interno alla Santa Sede che lo additava per le sue scelte libere, per le idee partorite con la sua testa senza farsi influenzare da nessuno, soprattutto dai potenti. Che è la caratteristica fondamentale di ogni grande leader. L’agire sempre di testa propria è stato confermato anche dall’ufficio stampa di Wojtyla, rivelando che la sua prima enciclica è stata interamente ideata e scritta da lui in persona.
Indubbiamente, sono caratteristiche che ci fanno apprezzare il Papa polacco ancor di più.
Interessante il dispaccio indirizzato a Mr. Ferguson relativo sempre ai primi quattro mesi di pontificato del Papa, preparato da Crossley della Santa Sede al Dipartimento di Stato britannico il 17 marzo. Si descrivono le priorità del nuovo Papa più approfonditamente che nella relazione introduttiva. Scrive:
Le due questioni più urgenti di politica estera che il nuovo Papa deve affrontare sono le relazioni della Chiesa con il Comunismo e il suo atteggiamento nei confronti della ‘teologia della liberazione’ dell’America Latina. Nel caso del Comunismo, l’urgenza derivava dalle origini polacche del Papa e dalle aspettative che queste avevano creato; nel caso della teologia della liberazione, proveniva dall’imminente conferenza generale dell’episcopato latino americano (Celam), in cui si era creata la disparità di opinioni su questo ambito destinato ad essere un tema principale.
Non ha perso tempo per affermarsi come figura popolare senza precedenti e di fatto dominante nella Chiesa, il Papa ha proceduto ad afferrare ‘entrambe le ortiche’. Per quanto riguarda il Comunismo, ha subito chiarito che non cercava un confronto diretto con i governi comunisti, ma che era comunque pronto a metterli pubblicamente e apertamente sotto pressione sui diritti umani in generale ed in particolare sulla libertà religiosa”
Per finire, riportiamo una frase di Papa Wojtyla rivolta al Corpo diplomatico in Messico il 26 gennaio compresa nel dossier e mai così attuale. Spiega loro che ogni società nazionale ed internazionale sarà giudicata nell’ambito della pace dal contributo offerto allo sviluppo dell’uomo e al rispetto dei suoi diritti fondamentali. Il suo monito: ‘ Siate gli architetti della pace tra le nazioni!’